domenica 29 aprile 2012

prova a indovinare


Questi sono i finali di alcuni libri famosi. Li riconosci?
(per le risposte,guarda in basso)

1)...prese il ritratto di sua moglie. Ti porto con me, gli disse, è meglio che tu venga con me. Lo mise a testa in su, perché respirasse bene. Poi si dette uno sguardo intorno e consultò l’orologio. Era meglio affrettarsi, il Lisboa sarebbe uscito tra poco e non c’era tempo da perdere.

2)E quanto poco rimane di ogni individuo nel tempo inutile come la neve scivolosa, di quanto poco rimane traccia, e di quel poco tanto si tace, e di quello che non si tace si ricorda dopo soltanto una parte minima, e per poco tempo: mentre viaggiamo verso il nostro sfumare lentamente per transitare soltanto alla schiena o al rovescio di quel tempo, dove non si può continuare a pensare se non si può continuare a prendere commiato. Addio risate e addio oltraggi. Non vi vedrò più, né voi mi vedrete. E addio ardore, addio ricordi.

3)... Piccola anima smarrita e soave, compagna e ospite del corpo, ora t’appresti a scendere in luoghi incolori, ardui e spogli, ove non avrai più gli svaghi consueti. Un istante ancora, guardiamo insieme le rive familiari, le cose che certamente non vedremo mai più. Cerchiamo d’entrare nella morte a occhi aperti.

4)     E’ una persona, disse, si ricordi questo, giovanotto, prima di tutto è una persona. E poi continuò: - Cerchi di essere delicato con lei, abbia molto tatto, Wanda è una creatura fragile come il cristallo, una parola storta e le vengono crisi di pianto.

5)venne buttato in un angolo del cortile che l’immondezzaio visitava ogni giorno. Durante il volo giù dalla finestra la sua forma si ricompose un istante: si sarebbe potuto vedere danzare nell’aria un quadrupede dai lunghi baffi, e l’anteriore destro alzato sembrava imprecare. Poi tutto trovò pace in un mucchietto di polvere livida.

6) Mi sa che ce l’hai fatta, ha detto. Dà un po’ un’occhiata, che te ne pare? Ma io ho continuato a tenere gli occhi chiusi. Volevo tenerli chiusi ancora un po’. Mi pareva una cosa che dovevo fare. Allora? ha chiesto. La stai guardando? Tenevo gli occhi ancora chiusi. Ero a casa mia. Lo sapevo. Ma avevo come la sensazione di non stare dentro a niente. E’ proprio fantastica, ho detto.

7) Ma a lei perché interessano le storie altrui? Anche lei  deve essere incapace a riempire i vuoti fra le cose. Non le sono sufficienti i suoi propri sogni?

8) ..Qual è stato per lei l’influsso più significativo degli anni della scuola, suor Helena? Un libro, un’idea politica, una persona? O è stato il calvinismo?

9)- Ah non cominciamo adesso col Barbison! disse mio padre. Quante volte l’ho sentita contare questa storia!



Risposte

1)   A.TABUCCHI, Sostiene Pereira, Feltrinelli.

2)   JAVIER MARIAS,Domani nella battaglia pensa a me, Einaudi.

3)   MARGUERITE YOURCENAR, Memorie di Adriano, Einaudi.

4)   A.TABUCCHI, La testa perduta di Damasceno Monteiro, Feltrinelli.

5)   TOMASI DI LAMPEDUSA, Il gattopardo, Feltrinelli.

6)   RAYMOND CARVER, Da dove sto chiamando, Minimum Fax (finale del racconto Cattedrale)

7)   A. TABUCCHI, Piccoli equivoci senza importanza, Feltrinelli (finale del racconto Rebus)

8)   MURIEL SPARK, Gli anni fulgenti di Miss Brodie, Adelphi.

     9) NATALIA GINZBURG, Lessico famigliare, Mondadori



domenica 22 aprile 2012

al di là del cancello




Identità e conflitto adolescenziale - spunti di psicoanalisi infantile

Anna Freud ha dato dell'adolescente questa definizione:
"L'adolescente è al tempo stesso egoista al massimo e tuttavia capace di sacrificio come mai più sarà nella vita successiva; stabilisce le più appassionate relazioni amorose, ma le interrompe con la stessa immediatezza con cui le ha iniziate; passa da un'entusiastica partecipazione alla vita della comunità, ad un'invincibile propensione alla solitudine; da una cieca sottomissione ad un capo ad una caparbia ribellione contro qualsiasi autorità.
E' egoista e materialista e contemporaneamente altamente idealista; è ascetico, ossia rifugge da ogni piacere, con improvvisi abbandoni ai soddisfacimenti istintivi più rozzi.
A volte rozzo e irriguardoso verso chi gli è accanto, è personalmente sensibilissimo ad ogni umiliazione; il suo umore oscilla tra il più sconsiderato ottimismo e un dolore universale, tra un entusiasmo infaticabile e un'assoluta indolenza..."
L'adolescente suscita sconcerto e sentimenti contrastanti: da un lato fa tenerezza perché appare tanto fragile, dall'altro suscita irritazione perché proietta sull'ambiente circostante le sue lotte interiori e i suoi conflitti.
Vorrebbe arraffare tutto: rivendica per sé sia i privilegi dell'infanzia, che le prerogative dell'età adulta; è negativista al massimo per mostrarsi autonomo, in realtà per non cedere alla tentazione di tornare a fare il cocco di mamma.
E' bravissimo a far sentire in colpa i suoi genitori.
Attenzione: questo non è un mostro, ma un essere umano che lotta con se stesso per uscire dalla dipendenza infantile.
Semplificando molto, potremmo riconoscere due periodi principali nello sviluppo dell'individuo: la prima infanzia e l'adolescenza.
Per il neonato la funzione fisiologica più importante è l'alimentazione; attraverso l'allattamento riceve nello stesso tempo il sostentamento fisico e l'indispensabile sostegno emotivo.
Durante la prima infanzia il bambino è completamente dipendente dall'ambiente, incapace di distinguere dove finisce il suo corpo e dove comincia quello della madre.
Il passo principale nello sviluppo emotivo consisterà nella progressiva differenziazione tra sé e mondo esterno.
Un'esperienza in parte simile avviene durante l'adolescenza; anche qui troviamo un evento fisiologico fondamentale: la maturazione sessuale.
La pubertà comporta enormi modificazioni fisiche, l'adolescenza è il tentativo di adattarsi ad esse.
Il bambino di una volta non esiste più; il ragazzino nuovo che sta nascendo deve passare in rassegna bisogni atteggiamenti e modalità di rapporto fin allora consueti, ossia la vecchia personalità, e modificarla in vista dei nuovi compiti che la crescita comporta.
Affrontare il difficile passaggio dell'adolescenza è possibile al bambino in quanto è uscito arricchito dalle fasi precedenti: le capacità intellettive si sono notevolmente ampliate, il senso di realtà è migliorato, sono emerse nuove capacità di far fronte all'ansia e di soddisfare desideri e bisogni in modo autonomo e accetto all'ambiente: giochi, sports, studio, attività di gruppo. La competizione coi compagni spinge l'adolescente all'industriosità e alla socializzazione.
Ma prima dell'adolescenza vera e propria che possiamo situare, molto approssimativamente, fra i dodici e i venti anni, c'è un momento intermedio: la preadolescenza.
In questo periodo tutte le acquisizioni di cui abbiamo appena parlato sembrano spazzate via; ne conseguono irrequietezza fisica, contrazione dell'attenzione, diminuzione della capacità di perseverare in un'attività, difficoltà di apprendimento, cattive maniere.
In sostanza un ritorno a modalità precedenti di scarica dell'aggressività e di ricerca del piacere; gli adulti spesso non capiscono che tutto ciò è vissuto con disagio e riprovato dalla coscienza morale del bambino ormai saldamente costituita.
Compito di questi anni è trasformarsi da bambino in adulto autonomo, capace di stabilire rapporti significativi al di fuori della famiglia.
Prende quindi l'avvio un lungo e penoso processo di separazione dalle figure dei genitori.
La ragazzina comincia a fare il maschiaccio o, al contrario, si butta precocemente nell'eterosessualità, per negare ogni affinità col modello materno.
I ragazzi invece evitano accuratamente le coetanee che col loro comportamento da maschiacci ricordano troppo la madre attiva, e si rifugiano nelle bande e nel gruppo degli amici maschi.
La vera e propria adolescenza è caratterizzata da grandi trasformazioni fisiche, che alterano la percezione del proprio corpo. Spesso si verificano disarmonie nella crescita, che fanno nascere timori di inadeguatezza sessuale.
L'adolescente, basandosi sui modelli proposti dall'ambiente, formula un'immagine corporea ideale, cui paragona se stesso e i compagni.
Nella ragazzina il menarca può esser fonte di disturbo emotivo, in quanto simbolo di femminilità.
Se la ragazzina vive in un ambiente che svaluta la donna, verrà facilmente vissuto in modo negativo. E' molto importante a questo proposito l'atteggiamento dei genitori e la possibilità per la ragazza di venire a contatto con modelli positivi, cioè con figure femminili da imitare.
Gradualmente la ragazzina rinuncerà alla dipendenza dalla madre e ne assumerà il ruolo riproduttivo.
Paradossalmente, il dolore del menarca è un elemento positivo in quanto aiuta a definire i confini corporei; inoltre arreca sollievo perché offre un punto di riferimento per le sensazioni indefinite e ansiogene della prepubertà.
La pubertà in se stessa influisce assai poco sui turbamenti affettivi dell'adolescente; importanti sono i significati di cui si carica.
Si situa in questo periodo il tentativo più massiccio di distaccarsi dagli oggetti primari d'amore, cioè dai genitori.
L'attaccamento al genitore di sesso opposto è riesaminato alla luce della preoccupazione inconscia della sessualità di tale rapporto, il ragazzo tenta allora di erigere una barriera tra sé e il genitore e tenta di trovare un oggetto d'amore all'esterno della famiglia.
Il rapporto difficile con i genitori crea problemi in relazione a ciò che è bene e ciò che è male.
Il ragazzo rigetta le norme che gli vengono da padre e madre e si trova momentaneamente privo di guida e di controllo sia sulle sue esigenze istintive che sulla realtà esterna. Ne può risultare un aumento quasi intollerabile dell'angoscia.
Per difendersi dal vuoto creato dall'abbandono degli oggetti primitivi d'amore gli adolescenti si buttano in amicizie idealizzate con persone dello stesso sesso, o (le ragazzine) in cotte passeggere.
Quello che si cerca di ottenere in questo modo, è un altro idealizzato in cui rispecchiarsi per rafforzare il precario senso di sé.
Queste amicizie mettono in rilievo la bisessualità degli adolescenti, ancora incapaci di operare una vera e propria scelta eterosessuale: abbiamo infatti visto che gli adolescenti non cercano un vero oggetto da amare ma un altro se stesso in cui rispecchiarsi narcisisticamente.
La capacità di svilupparsi di un amore eterosessuale maturo è molto lenta: il bisogno di essere amato solo gradualmente si fonde col bisogno di amare, il bisogno di ricevere con quello di dare; l'oscillazione tra passività e necessità di diventare attivi è ancora fortissima.
Compito specifico della vera e propria adolescenza è la formazione di una propria identità sessuale.
Prima della definiva scelta c'è però un altro passaggio: un momento in cui è presente un'ipervalutazione di sé, senza riguardo per la realtà; un atteggiamento di autosufficienza in cui l'adolescente si perde dietro fantastici sogni di grandezza, tiene un diario, e si dedica intensamente alla masturbazione.
Sembrerebbe trattarsi di un passo indietro. In realtà è un modo di tirare il fiato, di acquistare nuova consapevolezza di sé provandosi nei ruoli adulti, anche solo nella fantasia.
La masturbazione degli adolescenti a volte spaventa i genitori.
In realtà si tratta di un fenomeno negativo solo se diventa un sostituto nevrotico di soddisfazioni da cercare nella vita reale.
E' in realtà un fenomeno naturale, e una tappa intermedia rispetto al vero e proprio rapporto con l'altro.
Ciò che l'adolescente tenta di negare con una falsa autosufficienza è il bisogno dell'altro, perché è ancora troppo forte la tentazione di dipendere.
L'innamoramento segna in genere la fine delle tendenze bisessuali, una delle due componenti sessuali è ceduta al proprio partner, il superamento del timore della dipendenza permette di esprimere la tenerezza.
Facciamo ora un accenno a due atteggiamenti tipici dell'adolescente: la tendenza all'ascetismo e all'intellettualizzazione.
L'adolescente ha paura del piacere, si mortifica perché teme di caderne in balia. Un atteggiamento pericoloso quando vengono coinvolte funzioni fisiologiche fondamentali quali l'alimentazione, arrivando a volte all'anoressia.
A momenti di questo tipo si contrappongono momenti in cui l'adolescente cade completamente in balia del cibo e s'ingozza per riempire il buco interiore.
Un altro atteggiamento tipico è il grande amore per le discussioni intellettuali astratte. Si tratta, forse, di un tentativo di dominare a livello teorico una ricerca di soddisfazioni sentita come colpevole.
Quando l'adolescente ha acquistato sufficiente indipendenza emotiva dalla famiglia e la capacità di entrare in rapporto significativo con un altro individuo, esita ancora prima di assumere impegni definitivi: ha bisogno di provare non più solo nella fantasia le capacità che crede di aver acquisito.
Cominciano ad emergere caratteristiche e comportamenti ben definiti, anche in relazione alle scelte lavorative, e si avviano a soluzione i conflitti tra le sue aspirazioni e quelle dei genitori.
E' vero che permangono ancora dei residui conflittuali, ma saranno proprio questi a spingere l'individuo ad una revisione continua della propria personalità, nell'interazione con l'ambiente.
Il compito specifico della tarda adolescenza consiste nel raggiungimento di una stabile identità dell'Io capace di integrare tutte le esperienze attraversate e di accettare la lotta per il riconoscimento esterno.
tinas



martedì 17 aprile 2012

una passeggiata

Una passeggiata domenicale ad Anguillara:


































toh, un gattone...


















un po' di nuvole


















più tardi una passeggiata tra gli alberi, nella
Valle del Treia

















e all'improvviso: Calcata vista dal basso

















cose di questi tempi

Stamattina sono andata a fare delle analisi del sangue. Sono analisi che devo fare periodicamente, dopo una grave malattia.
Avevo un appuntamento per le 10,40. La prospettiva era di non riuscire ad effettuare il prelievo prima delle 12 o 12,30.
Ero naturalmente digiuna e mi girava la testa. Ogni tanto guardavo il display luminoso che indicava i pazienti che venivano chiamati.
Alle 9,30 avevo già fatto tutto. Mentre effettuava il prelievo, ho chiesto all'infermiera come mai ci fosse così poca folla.
Mi ha risposto:
è il 17 del mese signora, la gente ha già finito i soldi.

Ho pensato: se le persone sono indotte a risparmiare anche sulla salute, siamo ridotti proprio male!



sabato 14 aprile 2012

Che cos'è la filosofia?

Filosofia significa amore del sapere.
Secondo la tradizione il termine sarebbe una creazione del filosofo Pitagora, vissuto tra il VI e il V secolo a.C.
La parola indica un’aspirazione dell’uomo alla conoscenza vera, tendenza che non può aver fine, perché solo agli dei è concesso il possesso pieno della verità.

Ma quando nasce nell’uomo l’impulso a filosofare?
Certamente dopo aver soddisfatto i bisogni materiali, e dopo che l’uomo ha smesso di interpretare la realtà e l’esistenza umana attraverso il mito, e ha cominciato a cercare le cause prime dell’universo.

Lo scopo della filosofia è dunque il desiderio di conoscere la verità.
Da cosa nasce
questo bisogno?
Secondo Platone e Aristotele dalla meraviglia che prova l’uomo quando si pone davanti all’universo come un Tutto e si chiede quale ne sia l’origine e il fondamento e quale posto occupi egli stesso in questo universo.

I contenuti della filosofia sono le domande, le più generali possibili, che l’uomo si pone per tentare di comprendere la totalità del reale.
Domande che riguardano tutti gli uomini in quanto uomini, che si riferiscono soprattutto ai problemi del conoscere (gnoseologia) e dell’essere (metafisica): possibilità e limiti della conoscenza umana; i fondamenti costitutivi dell’universo; qual è il senso della vita umana? Dio esiste? La vita continua dopo la morte? Che cos’è il bello? Qual è il retto comportamento? Quali sono le regole del ragionamento?

La filosofia si pone come impostazione unitaria della conoscenza, e come discussione dei suoi limiti e delle sue possibilità.
Da essa in passato sono scaturite le singole scienze.
La filosofia ha ceduto ad esse la trattazione tecnica dei vari argomenti, ma non la trattazione filosofica, ossia l’esame critico ed unitario delle conoscenze, che rappresenta, in definitiva il nucleo centrale della cultura.
La filosofia mantiene il suo senso anche dopo il trionfo delle scienze particolari, perché esse rispondono solo a domande sulla parte e non sul “tutto”.

C’è però un punto in comune tra filosofia e religione: quello di occuparsi di speculazioni riguardo alle quali non è stata finora possibile una conoscenza definita.
Ma perché perdere tempo su tali insolubili problemi?
Perché da quando gli uomini sono diventati capaci di libero pensiero (quindi non hanno più voluto accettare risposte dogmatiche), le loro azioni sono venute a dipendere dalle loro teorie sul mondo e sulla vita umana, su ciò che è bene e ciò che è male (sistema di valori).
Insegnare a vivere senza la certezza e tuttavia senza essere paralizzati dall’esitazione è forse la funzione principale cui la filosofia può ancora assolvere.

Ma veniamo al metodo che la filosofia segue nelle sue indagini.
Essa mira ad una spiegazione puramente razionale della totalità (realtà) che vuole indagare.
Essa va, con la ragione, oltre l’esperienza e i fenomeni per trovare le cause della realtà.
A somiglianza delle scienze particolari
propone asserzioni fondate su criteri generali di conoscenza universalmente accettati e controllabili.
Perciò si può dire che Filosofia e Scienza sono due facce della medesima razionalità.
E sono visioni del mondo mai definitive, sempre pronte a superarsi di fronte ad una nuova scoperta o ad un nuovo problema che costringe a rimettere tutto in gioco.

E ancora la razionalità fa da criterio discriminante tra filosofia da una parte e arte e religione dall’altra.
Perché se è vero che anch’esse mirano a cogliere la totalità, la prima lo fa attraverso il mito e la fantasia, la seconda attraverso fede e rivelazione.

La filosofia fu una creazione greca.
Anche i popoli orientali ebbero una sapienza che tentava di interpretare il senso globale dell’universo e dell’esistenza umana, ma tale sapienza era intrisa di rappresentazioni fantastiche e mitiche.
I greci introdussero il logos, l’uso esclusivo della ragione nelle riflessioni sul Tutto. Questa scoperta greca condizionerà tutta la cultura occidentale.



senza titolo



martedì 10 aprile 2012

Il gioco nella prima infanzia - spunti di psicoanalisi infantile



L'evoluzione affettiva e quella intellettuale sono i due compiti che il bambino deve affrontare, per trasformarsi da esserino bisognoso impaurito e dipendente, in una persona autonoma ragionevole e capace di stabilire rapporti affettivi.
Per affrontare questo discorso facciamo riferimento ai bambini con problemi ossia ai bambini che vengono a volte portati dallo psicologo: quali sono i problemi di questi bambini?
Sono problemi di rapporto con la famiglia, gli insegnanti, i compagni di scuola.
Tra questi bambini e le persone intorno non c'è più una buona comunicazione e quindi una buona relazione.
E sapete qual è il modo migliore che uno psicologo possa trovare per aiutare il bambino a comprendere e a risolvere i suoi conflitti? Il gioco.
Il bambino è il gioco, trovare un bambino che non gioca è impossibile, il gioco è l'autocura che il bambino (ma non solo il bambino), fa a se stesso per rinfrancarsi delle difficoltà che la vita di tutti i giorni gli porta.
Non stiamo più parlando solo di bambini con problemi di una certa gravità, ma proprio di tutti i bambini.
Il bambino gioca per acquistare il pieno dominio di se stesso e della realtà. Giocando, ottiene un piacere e insieme arricchisce il suo patrimonio di conoscenze esplorando quanto lo circonda.
All'inizio i giochi servono soprattutto ad affinare i suoi strumenti percettivi: vedere, sentire, riconoscere la realtà esterna, sia che si tratti di un giocattolo, che del viso della madre.
I bambini godono nel vedere oggetti colorati, provano piacere per ciò che fa rumore, per questo gettano a terra tutte le cose. Afferrano e palpano gli oggetti, li esplorano a sazietà, poi li abbandonano per passare ad altri.
Man mano che il bambino perfeziona le sue capacità psicomotorie i giochi si fanno più complessi: trascinamento di oggetti, lanci e prese di palla, costruzioni con cubi sabbia creta ecc.
In un secondo tempo, quando queste abilità siano state acquisite, il bambino passa ad un tipo di gioco che coinvolge maggiormente l'imitazione degli adulti e l'immaginazione.
Il bambino è interessato, più che a sapere come è fatta una palla o il viso del padre, a scoprire come funzionano i rapporti con le persone.
La vita di tutti i giorni pone al bambino una serie di problemi, fin da quando è neonato.
Laviamo il bambino, lo vestiamo, gli facciamo il bagnetto, e vogliamo che stia buono mentre gli facciamo queste cose.
A noi sembra che il bambino ci dovrebbe essere riconoscente per questo, invece non è proprio così: al bambino fa piacere essere sollevato dalla tensione che gli provoca l'aver fame, o avere i pannolini bagnati, ma non capisce, non condivide i nostri concetti di ordine e pulizia del corpo.

Analogamente, quando sarà un po' più grande molti nostri comportamenti e decisioni riguardo a lui e ai fratelli gli sembreranno arbitrari; diciamo pure che i bambini ci considerano spesso un po' tiranni.
A questo punto e per fortuna del bambino, interviene il gioco.
Nel gioco il bambino rivive la realtà di tutti i giorni trasformandola secondo i suoi desideri, quindi quanto era stato passivamente subito, viene ora trasformato nel contrario.
Se il maestro lo ha sgridato a scuola facendogli fare una brutta figura con i compagni, giocando col padre a casa potrà assegnargli la parte dello scolaro, rimproverato da un maestro cerbero che il bambino si divertirà molto ad impersonare.
Insisto sul punto che anche il bambino più sano, figlio dei genitori più illuminati subisce frustrazioni e vive conflitti che il gioco lo aiuta ad elaborare.
Scagliare per terra un bambolotto dà sollievo ai sentimenti di gelosia e di rabbia verso il fratellino neonato, senza far effettivamente del male al fratellino.
Ciò che è vietato può essere espresso nel gioco in forma lecita; lo spunto sarà quasi sempre costituito dalla vita di famiglia.
Ma il significato più importante del gioco per il bambino, è quello di aiutarlo a diventare un essere sociale e un individuo autonomo.
La nascita biologica non coincide con la nascita psicologica.
Il bambino è nato ma non ha ancora coscienza di essere un bambino, non è ancora uscito da quella fusione con la madre che caratterizza i primi mesi di vita, non ha ancora acquistato caratteristiche individuali.
Nelle prime settimane di vita, come tutti i genitori sanno, il bambino passa quasi tutto il tempo in uno stato di dormiveglia, dal quale si scuote solo quando la tensione per la fame o altri bisogni lo fa piangere, e appena è soddisfatto ripiomba nel sonno.
In questo periodo il bambino è completamente assorbito in se stesso e nei suoi bisogni fisiologici, e non ha consapevolezza che c'è qualcuno intorno a lui che provvede alle sue necessità.
Tuttavia, attraverso un'assidua assistenza la madre o chi per lei, intervenendo ogni volta a soccorrerlo, lo aiuta gradualmente ad uscire da questo stato semivegetativo.

Il bambino comincia in qualche modo ad avvertire che la soddisfazione dei suoi bisogni non proviene da se stesso, ma da qualche parte esterna a sé.
Dal secondo-terzo mese di vita comincia nel bambino una vaga consapevolezza della madre.
Tuttavia il piccolo si comporta come se lui e la madre facessero parte di una unità, entrambi racchiusi in un confine comune: immaginate un cerchio in cui siano presenti madre e bambino, separati da tutto il resto del mondo.
Ma poi, la necessità che vengano soddisfatti i suoi bisogni, diventa gradualmente un desiderio di ricevere qualcosa da quella persona in particolare: la madre.
Si sviluppa il desiderio consapevole non più solo di ricevere sollievo alle tensioni fisiche ma il desiderio di uno scambio affettivo.
A circa sei mesi il bambino riconosce la madre come una persona separata da lui.
A questo punto, attraverso la mediazione materna, il bambino comincia ad entrare in contatto con parti sempre più estese della realtà esterna.
Quali sono i giochi del bambino in questo periodo?
Da un primo gioco in cui erano coinvolti il corpo del bambino e quello della madre senza che il bambino facesse distinzione tra dove finisse il suo e dove cominciasse quello della madre, si passa ad una vera e propria esplorazione manuale-tattile e visiva del volto e dell'intero corpo materno.
Queste sono le settimane in cui il bambino scopre affascinato una spilla, un paio d'occhiali o un ciondolo addosso alla madre.
Senza stancarsi il bambino esplora la madre con le mani e con gli occhi, allontana la testa da lei per esaminarla in altre prospettive, la controlla ripetutamente.
Dai sette mesi in poi il bambino comincia a fare giochi che servono maggiormente a distinguere la sua immagine corporea da quella della madre: prende pezzetti di cibo e li mette alternativamente nella bocca della madre e nella propria.
Non si tratta di un comportamento altruistico.
A questi comportamenti ludici del bambino, le madri rispondono facendo giochi in cui paragonano le parti del corpo del bambino, con le proprie: questo è il mio naso, dov'è il tuo?
Attraverso questi momenti il bambino si avvia nel corso dei successivi due anni ad una vera separazione psicologica dalla madre.
Si tratta di un processo durissimo di cui molti adulti portano ancora le tracce: è difficile separarsi!
Questa separazione è addolcita e favorita da un altro tipo di gioco.
Spesso i bambini spostano l'interesse che hanno per la madre su un oggetto inanimato, quasi sempre fornito dalla madre stessa e legato alle pratiche dell'alimentazione o dell'andare a letto: una copertina, un pannolino, un biberon, un giocattolo morbido (il cosiddetto oggetto transizionale).
Il bambino esplora questi oggetti sentendone soprattutto l'odore, ma anche il sapore e la composizione.
Questi giocattoli diventano di sua assoluta proprietà.
Sono soprattutto utili al bambino al momento di andare a letto o quando piange per qualcosa.
In sintesi, stanno per la madre o per il seno materno; servono a consolare il bambino della perdita delle attenzioni esclusive da parte della madre; è come se il bambino dicesse: anche se non posso più avere la mamma solo per me e in tutti i momenti, posso spostare queste pretese su un oggetto che lei mi ha dato o che la rappresenti.
Infatti qual è la più grande preoccupazione del bambino in questo periodo?
Quella di essere abbandonato dalla madre.
Per calmare queste angosce, perché di vere angosce si tratta, oltre ai giocattoli morbidi di cui abbiamo parlato, il bambino si serve del gioco a nascondino, gioco di solito proposto dalla madre, ma poi ripreso con entusiasmo dal bambino e giocato dai bambini di tutto il mondo.
Il gioco del nascondino, nella sua forma attiva e passiva ha un doppio significato: trovare la madre, ma anche essere ritrovato da lei.
Nel gioco ancora una volta il bambino cerca di superare le sue angosce invertendo i ruoli: io stesso allontano la mamma, io stesso la riprendo (vedi il gioco del rocchetto del nipotino di Freud).
Il bambino si tira le coperte sul viso la mamma non c'è più, le tira di nuovo giù con un sorriso: la mamma è di nuovo qui.
In conclusione, attraverso una serie di giochi, che lo aiutano a padroneggiare la scomparsa e la ricomparsa degli oggetti e delle persone, il bambino arriva ad interiorizzare la figura materna, e a credere nella sua esistenza anche quando non è presente.
Progresso che aiuterà il bambino a staccarsi anche fisicamente, in via temporanea, dalla madre, e a permettergli l'ingresso nella scuola materna.



domenica 8 aprile 2012

senza titolo



giovedì 5 aprile 2012

PD e lavoratori presi per i fondelli.

Con le sue dichiarazioni di poche ore fa il professor Monti ha voluto tranquillizzare gli industriali, i quali chiedevano l'abolizione in tutti i casi del reintegro, per gli operai ingiustamente licenziati.
State tranquilli, ha detto, che il reintegro, per come abbiamo costruito la norma, è applicabile solo a casi che potremmo definire alieni.

Questo è il risultato che il grande PD ha ottenuto dai furboni della finanza: una parolina = fumo negli occhi per gli elettori che vogliono essere ciechi, di questo una volta grande partito.




Caprarola



mercoledì 4 aprile 2012

Spunti di psiconanisi infantile - 2



Ostacoli all'empatia con i bambini

Secondo Christine Olden è più difficile per un adulto avere un buon contatto con i bambini, che con gli altri adulti.
Come ci si può porre di fronte ad un esserino che concepisce il mondo come un armadio per i suoi bisogni, che vede tutto in termini di bianco/nero, che vive tutte le sue esperienze con un'intensa soggettività, e che per comprendere quanto lo circonda non si affida all'intelligenza, ma alle sue fantasie riguardanti la nascita e il sesso?
La grande differenza nella struttura dell'Io e nel funzionamento del principio di realtà ostacola la comprensione tra grandi e piccoli.
Da un lato sta la consolidata struttura dell'Io dell'adulto (debole o forte che sia), dall'altro l'Io in evoluzione del bambino, ondeggiante tra progressione e regressione, costantemente in trasformazione, impegnato com'è nella lotta contro le pulsioni.
Ci sono adulti cui piace stare con i bambini e che tuttavia non hanno la capacità di un'empatia matura.
Sono quegli adulti cui piace giocare con i bambini, fargli dei regali, eccitarli con smorfie e giochi un po' sadici.
Freud si riferiva ai loro sentimenti per i bambini come ad una tenerezza aggressiva.
La presenza dei bambini sembra farli regredire al livello infantile, in cui si sentono bambino con bambino, agendo la propria irrisolta sessualità infantile.
Naturalmente ciò è molto diverso dal comprendere realmente un bambino.
Un altro tipo di amore per i bambini consiste nel mettersi dalla parte del bambino, felici se il bambino è felice, disperati se è infelice.
Queste persone si comportano verso il bambino come avrebbero desiderato essere trattati essi stessi.
Non è vera comprensione. La sottostante aggressività viene fuori nei confronti dei genitori del bambino o degli altri bambini che minacciano il loro tesoruccio.
Questo secondo tipo di persone costituisce già un passo avanti rispetto ai teneri aggressivi, ma la loro capacità di entrare in empatia con un certo bambino dipende da quanto possono rivedere in lui i propri bisogni narcisistici da appagare.
Sono sotto l'influsso del processo primario e non hanno successo nell'aiutare il bambino a svilupparsi e a sublimare.
L'empatia matura è indipendente dall'amore narcisistico per l'oggetto; questa è una delle ragioni per cui l'empatia dei genitori per i loro bambini è più complicata da raggiungere di quella per altri bambini.
Ma quali sono i meccanismi e le barriere che bloccano l'empatia?
Una prima risposta è certamente l'aggressività.
Non mancano esempi nella storia di pianificate e razionalizzate punizioni verso l'infanzia: i metodi di medici ed educatori per trattare la masturbazione, i trucchi per impedire di succhiarsi il pollice o mangiarsi le unghie, e così via.
Dobbiamo però chiederci perché i bambini sono il bersaglio per eccellenza delle pulsioni aggressive degli adulti.
La differenza di taglia non può essere una spiegazione soddisfacente.
Sembra giusto pensare che il bambino, vivendo in accordo col processo primario, minacci costantemente le difese erette dall'adulto contro il ricordo del paradiso perduto.
Il bambino rassicura l'adulto solo fin quando adempie il compito di oggetto di esibizione.
Ma il bambino minaccia l'adulto anche facendogli rivivere indirettamente le angosce infantili derivanti dal rapporto di dipendenza dai genitori, dipendenza che induceva su padre e madre una proiezione massiccia di onnipotenza persecutoria.
Per concludere, l'abilità di entrare in empatia con i bambini sembra dipendere da due fattori:
1- l'aver parzialmente conservato dei tratti infantili, ad esempio una certa quantità di passività (che renderà possibile la pazienza), o deboli fissazioni anali (che faciliteranno l'accettazione dei processi primari).
Naturalmente questi tratti non devono dominare la personalità né interferire col senso di realtà dell'adulto.
2- l'aver raggiunto un certo grado di riconciliazione con la propria infanzia, sia stata essa buona o cattiva.
Se si diventa capaci di rivivere elaborandole le emozioni infantili, non ci sarà il rischio di rimanere sedotti o danneggiati dal contatto con le manifestazioni del processo primario.


riferimenti bibliografici
Christine Olden, On Adult Empathy with Children, The Psycoanalytical Study of the Child, vol. 8, 1953



frutti