mercoledì 20 marzo 2013

Amos Oz, Barack Obama, Israele


Stamattina Barack Obama, Presidente degli Stati Uniti al secondo mandato, si è recato in visita di stato in Israele.

Per tutto il primo mandato, se ben ricordo, aveva evitato di farlo.
E' stato accolto dal Premier Beniamin Nethaniau, col quale non sempre i rapporti sono stati idilliaci.

Il discorso di Nethaniau  è stato una leccata, si direbbe con linguaggio non letterario. Ma forse solo apparentemente, in realtà era un insieme di richieste.

Casualmente, stamattina mi sono ritrovata a leggere un'intervista allo scrittore israeliano Amos Oz, intervista pubblicata il 19 febbraio sul quotidiano La Repubblica.
Oz, con una storia personale personale interessantissima, è tornato a vivere in un kibbutz in mezzo ad una zona desertica.
Mi appare come una persona che non si fa false illusioni, ma continua a pensare e sperare che la razionalità e il senso di condivisione vincano.


Osserva che la famiglia è il tema centrale della sua produzione letteraria, così come lo è degli altri grandi scrittori israeliani.
Dichiara di ritenersi affascinato dalla stranezza dell'istituzione familiare: noi per natura non siamo monogami, eppure la famiglia sontinua a sopravvivere da una generazione all'altra da migliaia di anni.


Pensa che il fanatismo, nelle sue varie forme (si può essere anche fanatici vegetariani), sia una sindrome del nostro tempo. 
Dichiara di essere molto critico nei riguardi del suo Paese, dal punto di vista politico e sociale: sembra che la società israeliana diventi sempre più insensibile verso l'occupazione della terra palestinese.
Un paese sempre più americanizzato, materialista, egoista, che ha perso il senso della solidarietà, con una sinistra che non sa più far sentire la sua voce
.



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