lunedì 12 gennaio 2015

la poesia del lunedì - S'i' fosse foco

Cecco Angiolieri nacque a Siena nel 1260.

Suo padre proveniva da una ricca famiglia di banchieri, era una personalità molto in vista della vita politica ed economica della città.
Sua madre, Lisa de’ Salimbeni, apparteneva ad una delle più nobili e potenti famiglie del Comune.
Nel 1281 Cecco era fra i Guelfi senesi all'assedio dei concittadini ghibellini asserragliati nel castello di Torri di Maremma nei pressi di Roccastrada, e fu più volte multato per essersi allontanato dal campo senza permesso.
In situazioni simili fu coinvolto anche negli anni seguenti,  e nel 1291 fu implicato in un fatto di sangue.
Padre e figlio  militarono come alleati dei fiorentini contro Arezzo nel 1289 e fu allora che, probabilmente, Cecco conobbe Dante.

Alcuni sonetti testimonierebbero la difficile amicizia tra i due, e le loro tenzoni poetiche.
Ad ogni modo è a questi anni che risale la maggior parte della sua produzione poetica.
Intorno al 1296 fu allontanato da Siena, a causa di un bando politico.
Nel 1302 Cecco svendette per bisogno una sua vigna. Dopo il 1303 fu a Roma, sotto la protezione del cardinale senese Riccardo Petroni.
Da un documento del 25 febbraio 1313 sappiamo che i cinque figli rinunciarono all'eredità perché troppo gravata dai debiti.
Si può presupporre che Cecco Angiolieri sia morto tra il 1310 e il 1313.

La poetica di Cecco Angiolieri segue i canoni della poesia comico-parodica, propria della tradizione goliardica medievale, e si contrappone alla linea poetica allora dominante,  lo stilnovo, tentando di rovesciare i topoi della raffinata corrente di Dante, Cavalcanti e Guinizzelli.
La donna-angelo diventa cosi’ una creatura terrena, anche volgare.
La sua poesia si apre al mondo medio-popolare dei mercanti e degli artigiani, a differenza dei poeti del dolce stil novo, che si rivolgevano ad una cerchia ristretta e aristocratica di amanti del sapere.

Cecco Angiolieri scrive:

« Tre cose solamente mi so' in grado,
le quali posso non ben ben fornire,
ciò è la donna, la taverna e 'l dado;
queste mi fanno 'l cuor lieto sentire.»

Da quello che ci è stato tramandato, questo interessantissimo poeta fu uno scapestrato dissipatore. Non m’interessa.
Voglio mostrarvi i due aspetti della sua arte e, forse, della sua personalità, esemplificati da due meravigliosi sonetti: la furia trascinante di S’i’ fosse foco, e la malinconia (scusate la ripetizione) di La mia malinconia.

Questa settimana leggeremo il primo sonetto, che è apparentemente uno sfogo contro Dio il mondo e la propria famiglia, in realtà un raffinatissimo gioco letterario.

P.S. Il sonetto S’i’ fosse foco ha avuto anche una trasposizione musicale ad opera del cantautore genovese Fabrizio De André.
P.P.S. Cecco Angiolieri è tra i personaggi di una novella del Decameron (la quarta della nona giornata).




S'i' fosse foco
 
S'i' fosse foco, arderei 'l mondo;
s'i' fosse vento, lo tempesterei;
s'i' fosse acqua, i' l'annegherei;
s'i' fosse Deo, mandereil' en profondo;

S'i' fosse papa, sare' allor giocondo, 
ché tutt'i cristiani imbrigherei;
s'i' fosse 'mperator, sa' che farei?
a tutti mozzerei lo capo a tondo.

S'i' fosse morte, anderei da mio padre;
s'i' fosse vita, fuggirei da lui:
similmente farìa da mi' madre.

S'i' fosse Cecco, com'i' sono e fui,
torrei le donne giovani e leggiadre, 
e vecchie e laide lasserei altrui.



(a lunedì prossimo, col secondo sonetto)



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