lunedì 2 marzo 2015

la poesia del lunedì: Juana Inés de la Cruz























"Stolti uomini che accusate
la donna senza ragione,
ignari di esser cagione 
delle colpe  che le date;
(...)

Io molti argomenti fondo
contro le vostre arroganze,

che unite in promessa e istanze
l'inferno, la carne e il mondo"


Suor Juana Inés de la Cruz nacque in un piccolo paese a sudest di Città del Messico, situato tra due enormi vulcani, il Popocatepetl e l'Iztaccihuatl, nel 1648/51.
E' considerata uno dei maggiori poeti barocchi di lingua spagnola, e un classico della letteratura latinoamericana.
Amata dallo scrittore Octavio Paz, che le ha dedicato lo scritto Suor Juana Inés de la Cruz o le insidie della fede.


La sua: una famiglia non comune. Nacque da una creola, che aveva già altre due figlie, e da un nobile ufficiale spagnolo che non la riconoscerà mai.
Sua madre avrà poi altri tre figli da un nuovo compagno. 

Sebbene analfabeta, la madre dirigeva una masseria, ed era praticamente a capo della comunità in cui viveva.

Juana a 3 anni imparò a leggere, di nascosto, con la complicità di una sorella maggiore che la condusse con sé dalla sua maestra.
A 8 anni scrisse la prima composizione poetica.
A 13 anni chiese alla madre di tagliarle i capelli e vestirla da maschio per poter frequentare l'Università, cosa non concessa alle donne a quel tempo.

L'anno dopo la madre la mandò a vivere a Città del Messico, da una zia, nella casa del nonno materno da poco scomparso.
Nonno che aveva fama di letterato e possedeva una vasta biblioteca.

Juana studiò, probabilmente da autodidatta, imparando il latino in 20 lezioni,  e sviluppando molti interessi, di tipo artistico e scientifico.

Nel 1664 venne presentata dalla zia alla corte dei nuovi viceré Antonio Sebastiàn de Toledo e Leonor Carreto, marchesi di Mancera.
Entrò subito nei ranghi delle dame della Viceregina, con il titolo di "amatissima".
Pare che  la Viceregina non potesse restare un solo giorno senza la sua Juana Inés, e allestì per lei un vero e proprio salotto culturale.

Lo stile di Juana si muoveva all'interno della letteratura barocca, seppure con venature razionaliste.
I suoi bisogni intellettuali tendevano alla comprensione dell'universo intero.
Trovava limitante, per un cattolico, non sapere che ogni cosa "in questa vita di divini misteri", può essere conosciuta tramite i sensi e i mezzi naturali. 


Il viceré, volendo testare la sua multiforme cultura, un giorno la sottopose all'esame di ben quaranta dotti e sapienti. Juana ne uscì "come un galeone reale da poche scialuppe".

Fulmine a ciel sereno: nel 1667, Juana abbandonò la Corte ed entrò in convento.
Probabilmente molte furono le ragioni di questa scelta: 
la sua condizione di servizio alla viceregina non era stabile, in quanto il mandato dei viceré durava solo 3 anni; c'era inoltre la sua avversione alle nozze.
In quei tempi sposarsi significava dedicarsi alla produzione di figli a valanga e Juana, pur sapendo che lo stato monacale presentava aspetti che non le andavano a genio, pensò che era forse la scelta più opportuna per seguire le sue passioni intellettuali.

Il suo abbandono improvviso della Corte provocò molte chiacchiere su una delusione d'amore, e un presunto legame amoroso di Juana con la vice regina, cui aveva dedicato versi erotici, non propriamente somiglianti a quelli di una suddita devota.
Abbandonò presto il convento delle Carmelitane Scalze a causa della regola troppo rigida.

Nel 1669 prese i voti, alla presenza dei viceré, entrando nel convento di San Girolamo.
In quell'occasione sua madre le regalò una schiava come servente.

D'altronde la vita nel convento non era austera: servitù, libri, strumenti musicali. Inoltre la cella consisteva in un appartamento con impianto idraulico per l'acqua calda e, dulcis in fundo, il divieto di far entrare visitatori esterni era ignorato.

Nel 1680 vengono nominati dei nuovi viceré: Tomàs Antonio de la Cerda e la moglie Maria Luisa Manrique de Lara.
Tra Maria Luisa e Juana fu subito simpatia e ammirazione reciproca.
Ben presto alla loro relazione si poté dare il nome di amore
, e Juana dedicò alla viceregina ardenti poemi amorosi.

La viceregina faceva conoscere le sue produzioni artistiche, e la proteggeva dalle rimostranze dei superiori che la accusavano di dedicarsi esclusivamente agli studi. 

Nel 1688 però, proprio nel momento di massima fama per Juana, sia in Messico che in Spagna, terminò il mandato di vicereggenza e Juana si trovò da sola a fronteggiare la Chiesa e l'Inquisizione, nelle vesti dell'arcivescovo di Città del Messico Francisco Aguiar y Seijas.

Costui disprezzava il sesso femminile in modo patologico;  trovava inammissibile che una donna fosse considerata un'intellettuale, e intollerabile che una suora scrivesse versi d'amore e testi di teatro non di carattere sacro.
Certo ad altri religiosi era permesso scrivere di argomenti secolari, ma Juana era una donna...

La cosa andò avanti per vario tempo, e alla fine di questa querelle  nel 1691 Juana scrisse la Risposta a suor Filotea, un'appassionata difesa della propria carriera intellettuale e del diritto delle donne alla conoscenza e agli studi.

 A tormentarmi, mondo,  Hai interesse?
In che ti offendo, quando solo tento
di dar bellezze al mio intendimento,
e no il mio intendimento alle bellezze?
Io non stimo tesori né ricchezze;
sicché sempre è maggiore il mio contento
se do ricchezze al mio intendimento
e no il mio intendimento alle ricchezze.
E non stimo avvenenza che, asservita,
sia una spoglia civile delle età,
né ricchezza mi abbaglia malgradita,
prediligendo, in ogni verità,
consumar vanità della mia vita
a consumar la vita in vanità.

Sottoposta ad ogni genere di pressioni, Juana alla fine cedette firmando col sangue la confessione: "Tra tutti io sono la peggiore".
Fu costretta a consegnare la sua biblioteca, gli strumenti scientifici e musicali, i doni ricevuti, e a rinunciare per sempre agli studi.

E forse si trattò anche dell'ultimo tentativo che le rimase per non essere accusata di disubbidienza ai suoi superiori e, di eresia.

Morì di peste nel 1695,
dopo essersi prodigata nelle cure alle altre monache colpite dal morbo.

 L'abnegazione nel prodigarsi per le consorelle fu forse un tentativo di accelerare la sua fine.
Qualcuno ha detto che fu la prima femminista d'America.

















Questo, che vedi, inganno colorato,
che dell'arte ostentando le bellezze
con falsi sillogismi di colori,
è un inganno dei sensi ben studiato;

Questo, nel quale la lusinga ha osato
della vecchiaia eludere gli orrori,
e sconfiggendo del tempo i rigori
trionfare sugli anni e sull'oblio,

è un artificio vano della cura,
è un fiore delicato esposto al vento,
è una difesa inutile dal fato:

è scrupolo impiegato vanamente,
è un affanno fugace e, ben guardato,
è cadavere, è sabbia, è ombra, è niente.

La sua idea di un'anima essenzialmente neutra, né maschile né femminile, esprime la sua vocazione all'indipendenza, in una società in cui questo era inconcepibile per una donna.
In questa poesia Juana, disfacendo la bella immagine del ritratto che le era stato fatto, si ribella alle forme più sottili e lusinghiere di asservimento sociale della donna, e alle sopraffazioni sociali che si nascondono anche nel culto della bellezza femminile.
Aveva già capito.


vedi:

Alfonso Berardinelli, 100 poeti - Itinerari di poesia, Oscar Saggi Mondadori.
http://www.culturagay.it/biografia/101.





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