domenica 11 gennaio 2009

I libri della mia vita. Un tema come a scuola



I libri della mia vita sarà a giorni l'argomento del gruppo di lettura a cui partecipo.
Questo tema ha richiamato alla mia mente un sacco di ricordi.
A casa mia, quand' ero piccola, non c'erano molti libri, all'infuori del sillabario.
Per cui mi gettavo avidamente perfino sulla carta di giornale in cui era avvolta la spesa che mia madre riportava dal mercato.

Però avevo uno zio a cui ero affezionatissima. Lavorava al nord e un paio di volte all'anno passava a trovarci. Non dimenticava mai di portare un regalo per me, e spesso era un libro.
Erano libri per ragazzi dalle belle copertine, su cui mi soffermavo a sognare, ma ricordo di non averli mai letti completamente.
Forse lo sentivo come un compito. Ero molto lusingata dall'apprezzamento nei miei confronti perché ero brava a scuola, ma forse volevo essere amata semplicemente perchè ero una nipotina.
Alla scuola media c'era la biblioteca d'istituto ma non sempre l'insegnante lasciava noi scolare libere di scegliere. A volte mi capitava di dover leggere un libro per cui non provavo alcun interesse, e anzi di doverlo anche riassumere e scriverci su un commento.
A scuola molte cose vanno approfondite con gli strumenti concettuali che solo l'insegnante può fornire, ma poi, come dice Pennac, ci vuole uno spazio di tempo dedicato alla lettura libera, senza altri doveri che non siano la libera esposizione e discussione.
Un'ultima notazione riferita al periodo delle scuole elementari e medie: non ho mai potuto sopportare Pinocchio, con quel povero burattino costretto a trasformarsi in un ragazzino saggio, l'ho sempre considerato un libro molto moralistico.

La mia famiglia era credente, pur non essendo bigotta, ma non reagì bene ai miei primi dubbi sull'esistenza della divinità.
Al ginnasio conobbi un' insegnante di religione molto disponibile a cui potei esporre i miei rovelli. Le chiesi qualche testo su cui approfondire l'argomento, e lei me ne prestò uno, probabilmente di teologia.

Non ci capii una mazza. Nel frattempo i miei dubbi aumentarono, ma quel primo libro mi spinse verso la filosofia.
Comprai e lessi anche la Bibbia, rimanendo molto colpita dalle narrazioni contenute nell'Antico Testamento.

Un altro regalo del ginnasio fu l'innamoramento per la lettura ad alta voce, si potrebbe anche dire per la recitazione. Anche qui la colpevole fu un'insegnante che, a turno, ci faceva leggere in classe I Promessi Sposi.
Al liceo ho goduto della liberalità di alcune compagne di scuola, che mi hanno permesso di attingere alle loro biblioteche casalinghe. E così ho letto con godimento Guerra e pace di Tolstoi (saltando le descrizioni delle battaglie, e subendo il fascino dei dialoghi in francese), e Giuseppe Berto, che mi fece incontrare col concetto di psicoanalisi.
A quei tempi c'erano i famosi sceneggiati televisivi, fatti benissimo anche se oggi sarebbero probabilmente considerati di una lentezza esasperante; ci hanno fatto conoscere grandissimi autori: Dickens e tanti altri. Ma in tele si trasmetteva anche teatro: Shakespeare e le tragedie greche, ne ricavavo noia e fascinazione insieme.
Uscirono anche godibilissimi film, che andavo a vedere con le mie amiche, ricordo in particolare Tom Jones, basato sul romanzo di Henry Fielding.

Durante gli studi liceali naturalmente, ho conosciuto Dante.
Se mi chiedessero di esprimere con una sola frase il mio amore per la letteratura, riporterei il verso del canto di Ulisse: fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e canoscenza.

Per caso un giorno, vidi esposto in una vetrina un libro di Bertrand Russell. Non ricordo perché mi colpì, ma cominciai a leggere questo filosofo, che fece parlare di sé anche per l'opposizione agli USA durante la guerra in Vietnam.
Credo che la sua Storia della filosofia occidentale sia un'opera geniale, per l'attenzione grandissima posta nel far emergere l'ambiente storico e culturale da cui ogni filosofo proviene. Russell era anche esperto di matematica e questo, per la comprensione di alcuni filosofi è di importanza fondamentale.

Durante l'adolescenza ho letto un sacco di letteratura rosa; ma allora non fa male? Forse il segreto, come al solito, sta nel leggere tante cose diverse.

All'Università mi innamorai di Freud.
Oggi ci si interroga su cosa sia rimasto di valido nella psicoanalisi.
Oggi rischiamo di diventare delle macchine: tempo fa ho sentito propagandare una pillola capace di abolire i ricordi dolorosi. Il messaggio sembra essere: se basta una pillola, perché cercare faticosamente di affrontare i problemi con una maturazione mentale ed emotiva?
Ma a parte questo, se leggete i casi clinici, vi troverete di fronte a narrazioni letterarie di grande interesse e fascino.

Fra gli scrittori che ho incontrato in tempi più o meno recenti, ci sono Primo Levi, Kundera, Carver, Yehoshua.
Considero quest'ultimo il più grande scrittore esistente, ogni volta che esce un suo libro provo un grande piacere all'idea di trascorrere un bel po' di tempo insieme a questa persona e al mondo in cui mi fa entrare. Yehoshua mi interessa anche perché fa una riflessione sull'etica nella letteratura.
Quanto a Carver è un mago nel creare un mondo e una storia nello spazio di un racconto, senza parole superflue ma suscitando, come ha detto un suo critico, sensazioni di attesa.
Ho impiegato molti anni per decidermi a leggere Primo Levi. Non volevo soffrire. Ho incontrato un grande che non fa retorica, e che ti coinvolge in una domanda terribile: perché chi è sopravvissuto all'orrore di un lager, si sente in colpa rispetto a chi non ce l'ha fatta?

Ho parlato solo di alcuni, ho tralasciato quelli che mi vergogno di non aver letto ancora, voglio terminare con uno che godo a non aver letto ancora: Robert Musil, col suo lungo e incompiuto Uomo senza qualità.

E in ultimo voglio ricordare la persona che mi ha fatto innamorare della lettura: la mia nonna materna, che mi ha raccontato le favole campane e tante storie.
Quando ha finito le sue storie, sono andata a cercarle sui libri. E' un piacere così grande mangiare, oh pardon, leggere un libro!




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