martedì 10 aprile 2012

Il gioco nella prima infanzia - spunti di psicoanalisi infantile



L'evoluzione affettiva e quella intellettuale sono i due compiti che il bambino deve affrontare, per trasformarsi da esserino bisognoso impaurito e dipendente, in una persona autonoma ragionevole e capace di stabilire rapporti affettivi.
Per affrontare questo discorso facciamo riferimento ai bambini con problemi ossia ai bambini che vengono a volte portati dallo psicologo: quali sono i problemi di questi bambini?
Sono problemi di rapporto con la famiglia, gli insegnanti, i compagni di scuola.
Tra questi bambini e le persone intorno non c'è più una buona comunicazione e quindi una buona relazione.
E sapete qual è il modo migliore che uno psicologo possa trovare per aiutare il bambino a comprendere e a risolvere i suoi conflitti? Il gioco.
Il bambino è il gioco, trovare un bambino che non gioca è impossibile, il gioco è l'autocura che il bambino (ma non solo il bambino), fa a se stesso per rinfrancarsi delle difficoltà che la vita di tutti i giorni gli porta.
Non stiamo più parlando solo di bambini con problemi di una certa gravità, ma proprio di tutti i bambini.
Il bambino gioca per acquistare il pieno dominio di se stesso e della realtà. Giocando, ottiene un piacere e insieme arricchisce il suo patrimonio di conoscenze esplorando quanto lo circonda.
All'inizio i giochi servono soprattutto ad affinare i suoi strumenti percettivi: vedere, sentire, riconoscere la realtà esterna, sia che si tratti di un giocattolo, che del viso della madre.
I bambini godono nel vedere oggetti colorati, provano piacere per ciò che fa rumore, per questo gettano a terra tutte le cose. Afferrano e palpano gli oggetti, li esplorano a sazietà, poi li abbandonano per passare ad altri.
Man mano che il bambino perfeziona le sue capacità psicomotorie i giochi si fanno più complessi: trascinamento di oggetti, lanci e prese di palla, costruzioni con cubi sabbia creta ecc.
In un secondo tempo, quando queste abilità siano state acquisite, il bambino passa ad un tipo di gioco che coinvolge maggiormente l'imitazione degli adulti e l'immaginazione.
Il bambino è interessato, più che a sapere come è fatta una palla o il viso del padre, a scoprire come funzionano i rapporti con le persone.
La vita di tutti i giorni pone al bambino una serie di problemi, fin da quando è neonato.
Laviamo il bambino, lo vestiamo, gli facciamo il bagnetto, e vogliamo che stia buono mentre gli facciamo queste cose.
A noi sembra che il bambino ci dovrebbe essere riconoscente per questo, invece non è proprio così: al bambino fa piacere essere sollevato dalla tensione che gli provoca l'aver fame, o avere i pannolini bagnati, ma non capisce, non condivide i nostri concetti di ordine e pulizia del corpo.

Analogamente, quando sarà un po' più grande molti nostri comportamenti e decisioni riguardo a lui e ai fratelli gli sembreranno arbitrari; diciamo pure che i bambini ci considerano spesso un po' tiranni.
A questo punto e per fortuna del bambino, interviene il gioco.
Nel gioco il bambino rivive la realtà di tutti i giorni trasformandola secondo i suoi desideri, quindi quanto era stato passivamente subito, viene ora trasformato nel contrario.
Se il maestro lo ha sgridato a scuola facendogli fare una brutta figura con i compagni, giocando col padre a casa potrà assegnargli la parte dello scolaro, rimproverato da un maestro cerbero che il bambino si divertirà molto ad impersonare.
Insisto sul punto che anche il bambino più sano, figlio dei genitori più illuminati subisce frustrazioni e vive conflitti che il gioco lo aiuta ad elaborare.
Scagliare per terra un bambolotto dà sollievo ai sentimenti di gelosia e di rabbia verso il fratellino neonato, senza far effettivamente del male al fratellino.
Ciò che è vietato può essere espresso nel gioco in forma lecita; lo spunto sarà quasi sempre costituito dalla vita di famiglia.
Ma il significato più importante del gioco per il bambino, è quello di aiutarlo a diventare un essere sociale e un individuo autonomo.
La nascita biologica non coincide con la nascita psicologica.
Il bambino è nato ma non ha ancora coscienza di essere un bambino, non è ancora uscito da quella fusione con la madre che caratterizza i primi mesi di vita, non ha ancora acquistato caratteristiche individuali.
Nelle prime settimane di vita, come tutti i genitori sanno, il bambino passa quasi tutto il tempo in uno stato di dormiveglia, dal quale si scuote solo quando la tensione per la fame o altri bisogni lo fa piangere, e appena è soddisfatto ripiomba nel sonno.
In questo periodo il bambino è completamente assorbito in se stesso e nei suoi bisogni fisiologici, e non ha consapevolezza che c'è qualcuno intorno a lui che provvede alle sue necessità.
Tuttavia, attraverso un'assidua assistenza la madre o chi per lei, intervenendo ogni volta a soccorrerlo, lo aiuta gradualmente ad uscire da questo stato semivegetativo.

Il bambino comincia in qualche modo ad avvertire che la soddisfazione dei suoi bisogni non proviene da se stesso, ma da qualche parte esterna a sé.
Dal secondo-terzo mese di vita comincia nel bambino una vaga consapevolezza della madre.
Tuttavia il piccolo si comporta come se lui e la madre facessero parte di una unità, entrambi racchiusi in un confine comune: immaginate un cerchio in cui siano presenti madre e bambino, separati da tutto il resto del mondo.
Ma poi, la necessità che vengano soddisfatti i suoi bisogni, diventa gradualmente un desiderio di ricevere qualcosa da quella persona in particolare: la madre.
Si sviluppa il desiderio consapevole non più solo di ricevere sollievo alle tensioni fisiche ma il desiderio di uno scambio affettivo.
A circa sei mesi il bambino riconosce la madre come una persona separata da lui.
A questo punto, attraverso la mediazione materna, il bambino comincia ad entrare in contatto con parti sempre più estese della realtà esterna.
Quali sono i giochi del bambino in questo periodo?
Da un primo gioco in cui erano coinvolti il corpo del bambino e quello della madre senza che il bambino facesse distinzione tra dove finisse il suo e dove cominciasse quello della madre, si passa ad una vera e propria esplorazione manuale-tattile e visiva del volto e dell'intero corpo materno.
Queste sono le settimane in cui il bambino scopre affascinato una spilla, un paio d'occhiali o un ciondolo addosso alla madre.
Senza stancarsi il bambino esplora la madre con le mani e con gli occhi, allontana la testa da lei per esaminarla in altre prospettive, la controlla ripetutamente.
Dai sette mesi in poi il bambino comincia a fare giochi che servono maggiormente a distinguere la sua immagine corporea da quella della madre: prende pezzetti di cibo e li mette alternativamente nella bocca della madre e nella propria.
Non si tratta di un comportamento altruistico.
A questi comportamenti ludici del bambino, le madri rispondono facendo giochi in cui paragonano le parti del corpo del bambino, con le proprie: questo è il mio naso, dov'è il tuo?
Attraverso questi momenti il bambino si avvia nel corso dei successivi due anni ad una vera separazione psicologica dalla madre.
Si tratta di un processo durissimo di cui molti adulti portano ancora le tracce: è difficile separarsi!
Questa separazione è addolcita e favorita da un altro tipo di gioco.
Spesso i bambini spostano l'interesse che hanno per la madre su un oggetto inanimato, quasi sempre fornito dalla madre stessa e legato alle pratiche dell'alimentazione o dell'andare a letto: una copertina, un pannolino, un biberon, un giocattolo morbido (il cosiddetto oggetto transizionale).
Il bambino esplora questi oggetti sentendone soprattutto l'odore, ma anche il sapore e la composizione.
Questi giocattoli diventano di sua assoluta proprietà.
Sono soprattutto utili al bambino al momento di andare a letto o quando piange per qualcosa.
In sintesi, stanno per la madre o per il seno materno; servono a consolare il bambino della perdita delle attenzioni esclusive da parte della madre; è come se il bambino dicesse: anche se non posso più avere la mamma solo per me e in tutti i momenti, posso spostare queste pretese su un oggetto che lei mi ha dato o che la rappresenti.
Infatti qual è la più grande preoccupazione del bambino in questo periodo?
Quella di essere abbandonato dalla madre.
Per calmare queste angosce, perché di vere angosce si tratta, oltre ai giocattoli morbidi di cui abbiamo parlato, il bambino si serve del gioco a nascondino, gioco di solito proposto dalla madre, ma poi ripreso con entusiasmo dal bambino e giocato dai bambini di tutto il mondo.
Il gioco del nascondino, nella sua forma attiva e passiva ha un doppio significato: trovare la madre, ma anche essere ritrovato da lei.
Nel gioco ancora una volta il bambino cerca di superare le sue angosce invertendo i ruoli: io stesso allontano la mamma, io stesso la riprendo (vedi il gioco del rocchetto del nipotino di Freud).
Il bambino si tira le coperte sul viso la mamma non c'è più, le tira di nuovo giù con un sorriso: la mamma è di nuovo qui.
In conclusione, attraverso una serie di giochi, che lo aiutano a padroneggiare la scomparsa e la ricomparsa degli oggetti e delle persone, il bambino arriva ad interiorizzare la figura materna, e a credere nella sua esistenza anche quando non è presente.
Progresso che aiuterà il bambino a staccarsi anche fisicamente, in via temporanea, dalla madre, e a permettergli l'ingresso nella scuola materna.



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