Difficilmente potreste immaginare un piatto di pasta più ricco, condito, colorato e appetitoso di quello che mi preparò sua madre, una domenica che andai a trovare Luana.
Se fossi stato appena un po' più furbo, avrei dovuto sospettare che ero già sotto tiro.
Ma
come avrei potuto resistere all'assalto di quella vedova molto in
carne, appena un po' disfatta, e di una ragazzetta in jeans
aderentissimi maglietta scollata e pancino scoperto?
Mentre
rispondevo non so più a quale domanda, una mano spuntò dietro le mie
spalle; mi girai di scatto: era Luana che, sorridendo, mi metteva
davanti il piatto.
Il profumo del ragù m'invase, mai vista una simile
abbondanza di carne macinata ben rosolata; in cima in cima tocchetti di
melanzane fritte ricoperte di sugo e parmigiano...e una fame! Era dalla
sera prima che non mangiavo...
Mi colse un senso di vertigine.
Per quanto mi sforzassi di non farci caso, quella sera il minestrone di mia nonna era più indigesto che mai.
"Non ti piace il minestrone della nonnina? L'ho fatto per te, per il mio nipote preferito".
Quando attaccava la solita solfa, diventava ancora più difficile ingerire l'immonda brodazza:
una fanghiglia nauseante che puzzava di grasso rancido.
Mi tornava alla mente la pastasciutta che mi preparava Teresa, la compagna di mio padre,
quando andavo a passare le vacanze estive da loro. Durante l'anno scolastico abitavo dalla
nonna.
La pastasciutta Teresa me la preparava molto spesso, in qualche occasione anche due volte al
giorno, eppure era sempre diversa.
La "paesanotta" infatti, definizione della nonna, ci metteva l'arte oltre che tutti gli ortaggi che
le venivano in mente: carciofi, asparagi, melanzane, zucchine, peperoni; a volte aggiungeva
carne o pesce, e rifiniva il tutto con sughetti prelibati con o senza pomodoro, secondo l'estro
del momento.
Secondo me la gente che non sa cucinare...non voglio dire che sia cattiva, ma insomma...
Poiché quella sera fece buio presto, e per giunta cominciava a piovigginare, mi affrettai al bar più vicino.
I proprietari, oltre a cappuccini e toasts, preparavano a richiesta alcuni semplici piatti.
Mi accomodai ad un tavolino e chiesi al cameriere un piatto di spaghetti al pomodoro.
Ero molto stanco, volevo solo buttar giù qualcosa e poi andarmene a letto, non mi aspettavo molto da quella cena improvvisata.
Distratto, guardavo la strada oltre la vetrina. Quando mi voltai vidi davanti a me una ragazzina sorridente con un vassoio.
Mi porse il piatto con gli spaghetti. Né troppi né pochi, al dente, un sughetto fresco e poco elaborato con i pomodorini ancora interi, un leggero profumo di aglio e basilico. Inoltre, due fettine di mozzarella candida su un lato del piatto.
Prima non mi era sembrato di avere così fame.
Mi buttai sulla pasta e la ragazzina non smise un attimo di guardarmi. Alla fine mi chiese se desideravo qualche altra cosa e, al mio diniego, mi portò il conto.
Fui sorpreso, un piatto di pasta e un bicchiere di vino, anche tenendo conto del coperto, non potevano costare cento euro, quasi duecentomila delle vecchie lire.
Ero imbarazzato, la ragazzina era così gentile... Comunque, era veramente troppo, trovai la forza di protestare.
La ragazza mi guardò in un modo strano, sembrava una vipera; mi aspettavo che da un momento all'altro le sue pupille si trasformassero in due fessure nere.
Mi strattonò per la giacca, mi costrinse ad alzarmi, e mi trascinò in strada.
Prima di chiudere la porta mi urlò addosso:"morto di fame"!
Che sarei finito a fare il pulicessi, non lo avrei mai immaginato.
Io, professore di filosofia in pensione, ridotto peggio di un drogato, a mendicare il cibo alla mensa della Caritas.
E se ci penso bene proprio un drogato sono: se vedo una qualunque cosa da mangiare, anche se sono già pieno, non posso fermarmi, devo ingoiarla.
Sì, ingoiarla, perché di questo si tratta; assaggiare i cibi, centellinare il vino, non sono cose per me.
Io vado per le spicce, e in due o tre bocconi metto al riparo il cibo nel mio stomaco.
Per la pastasciutta poi ho una passione particolare, e Giulia l'aveva capito. L'avevo incontrata in un ristorante a cinque stelle, dove faceva la cuoca.
Quel giorno, sedevo malinconico non so più per quale ragione.
Lei si presentò con un vassoio: un trionfo di gamberoni, contornati da un anello di spaghetti; da quei serpentelli dorati s'innalzava un profumo di Vernaccia da far perdere i sensi.
La portai via la sera stessa: furono sei mesi di felicità, pastasciutta a pranzo e cena; penne, zite, vermicelli, cannolicchi, spaghettini, orecchiette, fettuccine, gnocchetti, stringozzi. Per non parlare dei condimenti...
Ora se n'è andata coi miei risparmi. L'avreste mai detto?