martedì 27 dicembre 2011

Raymond Carver, riflessioni - seconda puntata



Poco propenso all’intreccio, Carver punta tutto sulla
singola situazione narrativa.
Niente di speciale sembra accadere nei suoi racconti:
l’attenzione è concentrata su eventi minimi, quotidiani.
Una folgorazione improvvisa o una lenta e sapiente
tensione rivelano l’inautenticità della situazione.

Carver ci racconta storie di un ambiente che
conosceva a fondo, popolato di gente comune
che “cerca di fare del suo meglio” per sopravvivere,
impreparata di fronte alle contraddizioni del
mondo contemporaneo e ai bruschi risvegli dal
sogno americano.

I protagonisti dei suoi racconti spesso hanno
difficoltà ad esprimersi con le parole e ricorrono
ad una serie di surrogati: tic, ossessioni, silenzi, oggetti.
Cercano di trovare un qualche equilibrio nell’alcool,
s’interrogano sul significato dell’amore, fanno i conti
con le piccole e grandi violenze quotidiane.

Intorno ai personaggi: strade interurbane deserte,
cittadine fatte di edifici tutti uguali, immensi
parcheggi, squallidi capannoni industriali,
supermercati immensi pieni di donne e di uomini
destinati a rimanere sconosciuti gli uni agli altri.

Sarebbe difficile resistere leggendo queste storie
spesso piene di squallore, se non fosse perché al
di sotto di queste descrizioni circola un sentimento
di compassione verso i compagni che attraversano
questa vita insieme a noi.

Tra gli scrittori, Carver ammirava molto Isac Babel,
Ernest Hemingway
, ed in particolare Anton Cechov.

In un racconto Babel affermava:

“Non c’è ferro che possa trafiggere il cuore con
più forza di un punto messo al posto giusto.”

Diceva Carver:

la cosa che volevo fare con i miei racconti:
mettere in fila le parole giuste, le immagini
precise, ma anche la punteggiatura esatta e
appropriata per far sì che il lettore fosse
attratto e coinvolto all’interno del racconto
fino a essere incapace di distogliere lo sguardo
dal testo, a meno che non gli andasse a fuoco
la casa attorno...


Quello di Carver è un modo di raccontare
ingannevolmente semplice, per lui le parole
sono lo strumento privilegiato per una
ricognizione della condizione umana.
Uno strumento da maneggiare con cura,
senza trucchi e senza pose nei riguardi del lettore.

Ne L’incarico, facendo presagire un’importante svolta
tematica, destinata purtroppo a rimanere senza
seguito,
Carver abbandonò la scena geografica usuale,
per trasferirsi nell’Europa dei primissimi anni del secolo e
narrare gli ultimi mesi di vita di Anton Cechov, lo scrittore
da lui più amato.

Da un punto di vista compositivo Carver non era
mai appagato dai risultati, sottoponeva i racconti
ad un lavoro enorme di limatura operando in levare,
per sgombrare il centro tematico dei racconti da
tutto il superfluo.
L’impressione di essenzialità estrema che si ricava
leggendo i suoi scritti, è il prodotto consapevolmente
perseguito di un feroce impegno di riscrittura.

Il suo editor Gordon Lish spinse Carver a tagli
estremi, contribuendo a creare quello che fu
definito da alcuni critici lo stile minimalista,
etichetta peraltro sempre rifiutata dall’autore
che affermava invece di considerarsi un precisionista.

Carver subì in un primo momento i tagli drastici
che Lish operò sui racconti.
Ma appena gli fu possibile reintegrò i
racconti con le parti espunte.
I racconti così ricostituiti sono qualcosa di
diverso, meno duri, più umani.
Diventa finalmente visibile la sua capacità di
compassione, anche se questa caratteristica è
più evidente da Cattedrale in poi, in cui Carver
si permette una scansione più ampia dei racconti.

Alcuni hanno visto nei racconti di Carver una
fusione del realismo lirico di Cechov con
l’espressionismo criptico di Kafka.

Carver scrisse anche raccolte di poesie.
La poesia gli consentiva una scrittura
più immediata rispetto alle lunghe e tormentate
gestazioni dei racconti.
Con uno stile lirico-narrativo colloquiale rifletteva
sui misteri dell’amore e della morte.
Spesso dietro ad un racconto c’era una poesia
precedente in cui era tratteggiata la stessa situazione .

Oggi la critica è concorde nel considerare
Carver un maestro della nuova letteratura
americana e il principale rinnovatore della
tradizione della short story che va da Poe
a Hemingway.

Ha ispirato un’intera generazione di scrittori
più giovani come David Leavitt e Jay McInerney.
Il regista Robert Altman si ispirò ai suoi
racconti per il film “America oggi”.

L’opinione pubblica conservatrice lo ha
più volte rimproverato di aver trasmesso
un’immagine negativa dell’America contemporanea.

In Italia i suoi libri sono stati tradotti con
notevole ritardo e in ordine inverso.
La prima edizione italiana di Cattedrale nel
1984 fu un clamoroso insuccesso.

Termino indicando le poesie di Carver che prediligo:
la prima appartiene al Nuovo sentiero per la cascata,
e s’intitola Non c’è bisogno.
Le altre tre fanno parte della raccolta Racconti in
forma di poesia
, e s’intitolano: A mia figlia, Energia,
L’intervista.


Un’ultima annotazione: mentre nelle poesie Carver
è direttamente autobiografico, nei racconti lo è solo
in modo indiretto, usando l’esperienza vissuta
per costruire personaggi e ambienti.











P.S. Se volete leggere l'articolo nella sua interezza,



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